domenica 25 maggio 2008

Alla fine arriva Kelly

Per con concludere in bellezza il capitolo "essere o non essere" riporto NUOVAMENTE ( già lo feci agli albori di questo blog) un brano di George Kelly che riporta ESATTAMENTE il mio pensiero circa il Sé.

"Di questi tempi si dice che essere se’ stessi è una buona occupazione. Essere se’ stessi è considerato salutare. Anche se per me è un po’ difficile capire come sia possibile, per qualcuno, essere qualcos’altro. Penso di capire che ciò significhi non cercare di sforzarsi di diventare diversi da quello che si è. Ciò, di fatto, mi sembra una maniera piuttosto noiosa di vivere. Sarei incline a pensare che ognuno di noi vorrebbe migliorare se decidiamo di essere qualcosa di diverso da quello che siamo. Ebbene, non sono poi tanto sicuro che tutti noi vogliamo migliorare, forse sarebbe più preciso dire che vorremmo una vita più interessante.
C’è qualcos’altro che potrebbe stare dietro a questo imperativo di essere se’ stessi, e cioè che nessuno si dovrebbe mascherare. Sospetto che sia qualcosa vicino a quello che gli psicologi intendono quando spingono le persone ad essere se’ stesse. Si presume che le persone che affrontano il mondo a viso scoperto siano più spontanee, che si esprimano più completamente, e che abbiano più opportunità di sviluppare le loro capacità se non si mascherano.
Ma questa dottrina della nudità psicologica negli affari umani, di cui tanto si parla al giorno d’oggi e che permette al sè di non truccarsi e mascherarsi, lascia assai poco all’immaginazione. Non invita certo all’avventura. Sospetto, a riguardo, che nel Giardino dell’Eden, Adamo si sarebbe deciso più in fretta di quanto effettivamente fece se Eva avesse fatto un po’ più di attenzione al suo guardaroba. Ho sentito che lo corruppe con una mela. In seguito mi dicono che si inventò qualcosa di più stimolante della foglia di fico.
Ciò che affermo è che non conta tanto ciò che l’uomo è, ma piuttosto quello che progetta di fare di se' stesso. Per fare il balzo egli deve fare qualcosa di più che scoprirsi: deve rischiare una buona percentuale di confusione. Poi, al più presto, come afferra la fugace visione di una vita diversa, deve trovare la maniera di superare il momento della minaccia paralizzante e per questo vive l’attimo in cui si chiede chi sia realmente, quello che è o quello che sta per divenire. Adamo deve aver sperimentato un momento del genere."
George Kelly- pagg.157-8 The Language of Hypotesis- 1964

5 commenti:

Giacomo ha detto...

acuto, non è molto chiaro però sul discorso delle maschere...almeno non ho capito bene la sua posizione.

Alex ha detto...

Non hai mai sentito nessuno dire "Stai portando una maschera. Devi liberartene se vuoi essere te stesso!"

Kelly afferma che sarebbe meglio scegliere volontariamente quale maschera indossare. Non liberarsene per essere se stessi, ma mettendone di nuove per essere qualcos'altro. Ma non per migliorare, ma per avere una vita "più interessante".

Giacomo ha detto...

A dir poco discutibile questa affermazione! Secondo me c'è più avventura nello smascherarsi, che è indubbiamente più difficile e doloroso. Non è che per caso l'autore giusitfica l'uso delle maschere per non dover condannare se stesso?

Comunque sia, fa bene sentire questi pareri.

Yarla84 ha detto...

Giacomo, Giacomo! Cosa facevi quando la Mariani spiegava Pirandello? mettevi un pesce nell'astuccio di Tino?

Anonimo ha detto...

Grande Gabrio e la citazione su Pirandello perchè se non leggevo i commenti dell'altro post l'avrei plagiato. "Uno, nessuno, centomila" è uno dei miei libri preferiti.

Mi ero già espressa sul discorso delle maschere, però giusto per il piacere personale di stracciare gratuitamente le ovaie nuovamente...
Credo che fondamentalmente dire "mi tolgo la maschera" sia una cazzata, benchè metaforica, collossale. Che cazzo vuol dire "avere una maschera?". Se io mi comporto in una certa maniera con i miei genitori, diversamente da come mi comporto con gli amici, all'università, davanti al prof o a uno specchio, non vuol certo dire che quelli che interpreto sono per forza ruoli.Sotto ci sono io, sempre, e ci sono delle motivazioni, spesso non conscie, per cui faccio certe cose piuttosto che altre. Uno psichiatra ci disse della sua paziente, ospite da noi, la quale ci creava un bel po' di problemi, anche perchè sembrava sempra falsa e manipolatrice: "Non crediate che lei si comporti così e vi dica certe cose, a caso. Quella che vi fa vedere è una parte di lei, non qualcosa di fittizio".
Sono troppo d'accordo. E per me, non mi è tanto lontano neppure quello che dice il tipo, forse..

Detto questo, uno strumento che a me è venuto utile per chiarirmi un po' le idee su il sè e menate varie è stata la finestra di Johari di Luft e Ingham, se che viene rappresentato come una finestra suddivisa in quattro quadranti.
Il primo quadrante, chiamato "L'Arena," rappresenta le informazioni (personalità, conoscenze, emozioni e capacità) che sono note sia al soggetto che agli altri. In questo senso è anche definita come area pubblica. Il secondo quadrante, chiamato la "Facciata", comprende le informazioni che la persona conosce di sé ma che gli altri non sanno: è anche detta area privata. Nel terzo quadrante, chiamato "Punto Cieco", le informazioni sulla persona sono note agli altri, ma non alla persona stessa. L'unico modo che la persona ha per acquisire informazioni in questa area cieca è attraverso il feedback diretto degli altri (espressamente richiesto o meno). Il quarto quadrante è chiamato "Ignoto". Rappresenta le informazioni sconosciute sia al soggetto che agli altri. Non c'è modo di acquisire direttamente le informazioni contenute in questo quadrante, definito anche come area dell'inconscio.

Cose che continuano a cambiare nel tempo, un momento diverse da quello successivo...
Ergo: non credo sia possibile conoscerci davvero mai completamente, ma la ricerca per mettere luce sulle nostre ombre è interessante, e a me personalmente, fa vivere con più coerenza. In conclusione sono sulla via del costruttivismo anch'io se devo essere sincera...