sabato 28 febbraio 2009

E lo chiamano atto dovuto

di ADRIANO SOFRI

IL SIGNOR E. indagato per omicidio volontario. Che cosa avete provato, prima ancora che pensato, sentendo la notizia? Vediamo. Il giorno prima era stata la volta delle fotografie scattate nella stanza di Eluana. Sequestrate la mattina da una procura, dissequestrate la sera dalla procura superiore, e pratica chiusa. Questione di un giovedì qualunque. Venerdì: il signor E. in associazione - in combutta, diciamo - con altre 13 (tredici) persone, medici e infermieri, è inquisito per omicidio volontario aggravatissimo. Scrivo prima di sapere che cosa stia per portare la sera di venerdì, e poi la mattina di sabato. Bisogna pure che ogni giorno abbia la sua pena.

Però, superato il primo inevitabile moto di insofferenza e indignazione - le avete provate, no? - la domanda diventa: si può prendere sul serio tutto ciò? Non risponderò, e passerò al secondo punto, l'atto dovuto. Insieme alla notizia dell'apertura dell'indagine, infatti, come succede sempre più spesso, la Procura udinese si è premurata di aggiungere che si trattava di un "atto dovuto". Prescindendo dalla competenza in diritto e procedure, che non appartiene alla maggioranza di noi, si può interrogarsi sul significato comune, non specialistico, delle parole "atto dovuto". Vuol dire che non se ne può fare a meno.

Per qualche ragione misteriosa, la magistratura inquirente non può fare a meno di una torbida assurdità come l'imputazione di una realizzata volontà omicida a quelle quattordici persone, dietro le quali sta oltretutto una sequela impressionante di pronunciamenti della stessa magistratura giudicante. Associazioni e cittadini dotati di nome e cognome hanno ritenuto di avanzare denunce per omicidio volontario aggravato: e questo basta a costringere la magistratura a prendere sul serio un'assurdità oltraggiosa? La giustizia ha qualcosa da guadagnare da una simile accezione dell'atto per lei dovuto?

Perché l'atto dovuto abbia una minima parvenza di dignità bisogna che l'addebito abbia almeno una minima possibilità di mostrarsi fondato. Questo ci riporta alla casella di cui sopra, cioè alla domanda se sia possibile immaginare anche solo per un momento la condanna di quelle quattordici persone per omicidio volontario aggravato. È possibile?

Prima di rispondere definitivamente, fermiamoci su un altro punto che ha costellato tutta questa vicissitudine fra poco ventennale. Il signor E. essendo stato protagonista di un impegno pubblico diventato così clamoroso e tormentoso, e così emotivamente e simbolicamente coinvolgente, il signor E., per quanto visto con gli occhi e ascoltato con le orecchie da tanti milioni di concittadini, è stato soprattutto immaginato.

Benché si avesse l'impressione di conoscerlo, soprattutto lo si immaginava, per l'impulso irresistibile e umanissimo a mettersi nei suoi panni, a chiedersi che cosa, dietro quella sua tenacia pubblica e la paziente ripetizione dei suoi ricordi e dei suoi argomenti, lo rosicchiasse dentro e dentro gli ruggisse.

La liberazione della quale il signor E. parlava da tanti anni, per sua figlia e per sé e per tutti, lo avrebbe restituito - lo stava già facendo - a una dimensione ordinaria, cioè non più straordinaria, lo avrebbe fatto conoscere, o dimenticare, come la persona che è, e non più immaginare come la figura cui la lunga sfida lo aveva consegnato. Niente da fare. Anche qui, il gioco dell'oca incattivita che ha sequestrato la vicissitudine del signor E. l'ha riconsegnato all'immaginazione. Da ieri, siamo tornati a chiederci: "Che cosa proverei se, nei panni di quel padre, mi fossi saputo indagato da una Procura del giovedì per omicidio volontario di mia figlia?".

Veniamo alla risposta provvisoriamente finale. Evidentemente è possibile figurarsi una condanna dei Quattordici per omicidio volontario aggravato, dal momento che un Gran Cardinale ha già pronunciato la sua sentenza, rinviando ai dieci comandamenti fatti coincidere con la sua idea di codice penale. È così? No, per fortuna. Perché un piccolo parroco - piccolissimo: di Paluzza - ha detto: "Gli uomini di Chiesa moderino il linguaggio, non si può usare un linguaggio come quello del cardinale Barragan. Beppino ha sbagliato, lui sa che ho una visione opposta alla sua, ma tra noi c'è rispetto. Usare parole come "assassino" o "omicida" e apostrofare una persona in questo modo non è da cristiani".

Ecco. Sarà dovuto, l'atto, ma non è da cristiani.

mercoledì 18 febbraio 2009

Emendamento d'Alia

di Vittorio Zambardino

Speriamo che la questione non si faccia solo per amatori, perché non lo è proprio. Nel dibattito aperto dall’approvazione
dell’emendamento del senatore D’Alia interviene oggi il deputato del Pdl Roberto Cassinelli e annuncia con un comunicato (si può leggere per intero qui) che proporrà di modficare in modo sostanziale l’articolo “ammazzafacebook” (ma in realtà ammazzainternet) di D’Alia - l’emendamento prevede che nei casi di contenuti che integrano la fattispecie dell’ istigazione a delinquere e apologia di reato, il ministro dell’interno ordini ai fornitori di accesso internet di rimuovere le pagine incriminate, e non potendosi far ciò si oscuri anche il sito per intero, quindi oscurando i contenuti di tutti.

Va sottolineato che mentre il testo di D’Alia è già approvato, e deve passare alla Camera, quella di Cassinelli è un’intenzione che dovrà cercarsi sostegno e voti in aula.

La proposta Cassinelli: decide il giudice, non il governo. La pagina la cancella l’autore del reato o il proprietario della piattaforma

Così dal comunicato: “il nuovo testo è stato scritto insieme a giuristi e tecnici esperti della materia, e mira a correggere i troppi errori pratici contenuti nell’articolo 50”. L’emendamento Cassinelli prevede che sia l’autorità giudiziaria (e non più il Ministro dell’interno) a disporre la rimozione (e non più l’oscuramento) del contenuto incriminato. Rimozione a cui deve provvedere l’autore del reato o, in seconda battuta, il fornitore del servizio di hosting ma, come è scritto a chiare lettere, solo quando vi sia “la possibilità tecnica di procedervi senza pregiudizio per l’accessibilità a contenuti estranei al procedimento”. Non sarà possibile, quindi, mettere in atto un “filtraggio” (termine utilizzato nel testo del senatore D’Alia) di un intero sito pur di impedire l’accessibilità ad un contenuto illegale, anche se isolato. E, soprattutto, non saranno più gli ISP (ovvero i fornitori di connettività internet) a dovere provvedere all’oscuramento”

Cosa succede adesso?

Succede che si deve aspettare l’arrivo del Decreto sicurezza, che contiene l’articolo proposto da D’Alia, alla camera dei deputati. Non è difficile immaginare che la soluzione Cassinelli vada bene sia agli internet service provider che ai “proprietari della piattaforma”, a Google, a Facebook, ai titolari dei portali.

Altra faccenda è che vada bene in assoluto, perché comunque descrive una disciplina stretta dei contenuti espressi in internet. Certo già escludere l’abominio del ministro di polizia che, su segnalazione della magistratura, si occupa di cosa è giusto scrivere in internet e cosa no, sarebbe molto importante. Ma ricordiamoci che in questo momento “l’abominio” è legge, non il testo Cassinelli.

E poi il problema, che riguarda anche la formulazione Cassinelli, è che una volta rimessa nelle mani del giudice la potestà di ordinare la cancellazione di un contenuto, non ci resta che farci altre domande.

Come viene definito l’ambito nel quale interviene il giudice? Il senatore D’Alia lo collocava all’interno dell’istigazione a delinquere e l’apologia di reato. Vasta definizione: che inneggiare a Riina possa essere apologia di reato è (quasi, quasi…) pacifico, ma in altri casi?

Se si fa una legge che prescrive ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che a loro si rivolgono per essere curati, e io scrivo in una pagina Facebook che quella legge fa schifo e invito i medici a non ubbidire a quella prescrizione di legge, la mia è istigazione a delinquere? O sto esercitando il diritto, costituzionalmente garantito, di esprimere il mio pensiero in una critica politica verso una decisione del governo?

E se dico che a un’altra Eluana dovrebbero staccare il sondino, a legge sul testamento biologico approvata, istigo a delinquere?

E se dico che la legge che manda in carcere i giornalisti che pubblicano le intercettazioni è liberticida, sto esprimendo una mia opinione? O sto commettendo un reato?

Non sarebbe meglio ricordare a tutti noi che il reato d’opinione è un abominio?

L’onorevole Cassinelli converrà che non tutto si risolve con un emendamento, anche se il suo è un buon testo e risana un guaio che è stato fatto.

Ma la questione della libertà di espressione in rete è semplicemente la questione della libertà di espressione nella società italiana. Certo è sempre possibile prendere la via gandiana, commettere il reato, andare in galera e aprire lo scandalo di una legge che fa schifo. Ma poi la gente guarda il Gf9 e io resto in galera. E non si può pretendere che tutti siano eroi.

lunedì 9 febbraio 2009

Dio preferirebbe...

Non posso fare a meno di segnalarvi un post di un Blog assolutamente eccezziunale! Da leggere e rileggere!

http://www.malvestite.net/2009/02/09/malvestita-345-dio-preferirebbe-lautocombustione/

Firmate anche se non è..necessario farlo

http://www.repubblica.it/speciale/2009/appelli/rompiamo-il-silenzio/

domenica 8 febbraio 2009

Lo scempio più atroce

di EUGENIO SCALFARI


IL CASO ENGLARO appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all'evolversi delle tecnologie. Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l'attuazione.

Ma il caso Englaro è stato derubricato l'altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita.

Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori.
Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che "al di là dell'obbligo morale di salvare una vita" egli sente "il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi".

Gli strumenti necessari per realizzare quest'obiettivo indispensabile sono "la decretazione d'urgenza e il voto di fiducia"; ma poiché l'attuale Costituzione semina di ostacoli l'uso sistematico di tali strumenti, lui "chiederà al popolo di cambiare la Costituzione".

La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima.
Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l'occasione che cercava.


Un'occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all'emotività plebiscitaria.

Qui c'è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l'anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall'altra i "volontari della morte", i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione.

Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita.

Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta.

Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l'altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante.

Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada.

Ci sono altri due obiettivi che l'uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare.
Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d'aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto.

Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l'occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un'economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l'attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica "La Quiete" dà un po' di respiro ad un governo che naviga a vista.

Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire "con cattiveria".

Il Vaticano si oppone a quella "cattiveria" ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall'Occidente multiculturale e democratico.

Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico.

Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l'instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali.

Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del '22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: "Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli".

Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra.
In quel passaggio del 3 gennaio '25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.

Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l'altro ieri.

E tutto è sciaguratamente avvenuto sul "corpo ideologico" di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.